HEIDI NON ABITA PIÙ QUI

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Gennaio 30, 2023 0 Di wp_11105150
“Testa e croce” è la mostra organizzata da ADI Design Museum e Repower per illustrare “le convergenze parallele” tra design svizzero e italiano (25 ottobre 2022 – 5 febbraio 2023).

Cervino o Matterhorn? I due versanti di una visione antitetica del design.

L’idea di una mostra che accosti il design italiano a quello svizzero può apparire stravagante, e un po’ lo è. Per molti forse nemmeno esiste un design svizzero, esistono dei prodotti conservatisi immutabili nelle forme e nei materiali: orologi di precisione, coltellini multiuso, cioccolata in tavolette, formaggio coi buchi… il design non è questo, oppure è anche questo perché non esiste una, ma molte definizioni? “Per capire, – spiega Italo Rota – abbiamo raccolto centinaia di oggetti italiani e svizzeri che raccontano la nascita di due attitudini molto diverse: una, come direbbe C.G. Jung, di normalità prossima al mito, l’altra l’ossessione come mito”.
Definirsi è più facile attraverso il confronto, che permette di scoprire che le antitesi sono pronte a una nuova sintesi. “Testa e Croce. Le convergenze parallele del design svizzero e italiano”, ospite di ADI Design Museum dal 25 ottobre 2022 al 5 febbraio 2023 è una mostra a cura di Italo Rota. Riccardo Blumer si è occupato della sezione svizzera, ad Alessandro Pedretti è stata affidata la sezione italiana: a dividerle, un Cervino/ Matterhorn in miniatura.
A dividerle? “In Alta Val Senales, nel 1991, è stata trovata la mummia di Ötzi, l’uomo dei ghiacci, morto 5.300 anni fa circondato dai suoi strumenti, di due culture, – sottolinea Rota – quella tipica della tradizione settentrionale italiana e quella delle genti della Svizzera meridionale, realizzati con materiali locali ma anche provenienti da siti molto distanti, come le selci usate per i diversi utensili o il rame dell’ascia che proveniva dalla Toscana.
Gli utensili e gli abiti di Ötzi sono di grande attualità: la cultura dello zaino è ormai l’ordinario e affianca la cultura della casa come l’abbiamo conosciuta nell’epoca del trionfo dei sedentari”.

Contenitori da tavolo, portacenere, portapenne di Bruno Munari, Giorgio Soavi, Ettore Sottsass per Danese (1957) e Olivetti (1960, 1965, 1973).
Triciclo prodotto da Wise-Gloria-Verke dal 1970.


SILENZIOSAMENTE E INFALLIBILMENTE ‘ETICI’
Per Blumer, gli oggetti sono “prodotti culturali, figli di un luogo, di un momento e delle tecniche, di ambizioni estetiche che ogni popolo nella sua terra ha immaginato e realizzato. Gli oggetti come le architetture ci fanno ‘essere’ quello che nella maniera più alta vorremmo fosse giusto”. L’articolazione in categorie d’uso (aprire-chiudere, coltivare, contenere/conservare ecc), è significativamente labile nella sezione svizzera, perché gli oggetti sono in primo luogo attrezzi, dunque, multiuso, come il coltellino Victorinox (nato come coltellino dell’esercito, ideato da Karl Elsener nel 1897), ma anche perché le qualità di durata, affidabilità, riparabilità, precisione rendono i prodotti svizzeri pressoché eterni, compagni di vita in momenti diversi. Le attività all’aperto sono protagoniste a tal punto che il concetto di ‘outdoor’ e degli accessori dedicati praticamente non esiste; quando il meteo si fa rigido, basta applicare dei ganci alle scarpe per non scivolare. “Questo razionalismo funzionale molto spiccato affonda le radici in una mentalità che a sua volta è improntata all’amore per l’ordine, alla diligenza e all’affabilità; caratteristiche che la Svizzera, come reazione ai sovvertimenti industriali dell’Ottocento, mutuò da un’etica contadina e calvinista per farne un principio strategico unico”, scrivono Lotte Schilder Bar e Norbert Wild in “Il design in Svizzera. Cultura dei beni d’uso nel Novecento”, edito da ProHelvetia nel 2002. Su queste basi è scaturito un design anonimo di oggetti che non hanno bisogno di autori o di brand, la cui normalità è così disarmante da farsi, davvero, mito.


I LARI INQUIETI

Impianto giradischi Hi-Fi Concetto101 di Marco Zanuso e Richard Sapper per Brionvega, 1974.
Pentola a pressione, di produzione Sigg.

Sul versante italiano tutto è di segno opposto: nulla vuol essere anonimo né ‘semplicemente’ funzionale e la normalità è un divenire irrequieto, “un mondo di visioni che spaziano tra la tecnica industriale, l’arte, il paradosso, l’andare oltre, il connettere episodi apparentemente lontani, la mescolanza, la ricerca, l’ironia, la poesia, l’essenza, la trasgressione, il sapere leggere il mondo in cui viviamo oggi e come vivremo domani”, osserva Alessandro Pedretti. Siano ventilatori od orologi, lampade o macchine da scrivere, stoviglie o poltrone, i prodotti del design italiano sono ergonomici, funzionali ed estetici per sperimentazione ed empatia: “a fianco dei prodotti noti, – prosegue Pedretti – si schierano innumerevoli generazioni di spore che trasmettono il DNA in una moltitudine di esempi, noti, meno noti e sconosciuti”. La loro varietà nasce anche dall’approccio semiartigianale e da strategie industriali in costante cambiamento.
Un’altra caratteristica, ben sottolineata da Italo Rota, è la presenza di “ossessioni di natura intellettuale, politica o mitica. (…) A partire dalla domus latina fino a oggi, l’idea della casa come luogo teatrale genera oggetti che parlano e interagiscono con gli umani, cercando di sopravvivere al loro uso funzionale e che si trasformano in lari laici e misteriosi che costruiscono la loro permanenza nella casa ben oltre il tempo del loro utilizzo”.
Come spiegare altrimenti la produzione di quattro modelli di bilance prodotte da Marco Zanuso per Terrailon dal 1968 al ‘74, o un design ad hoc del cucchiaio per raccogliere la maionese (di Achille e Pier Giacomo Castiglioni, per Kraft, 1962)? In Svizzera una bilancia è una bilancia, (una sola), in Italia un cucchiaio non è (solo) un cucchiaio.

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO CI RENDERÀ IBRIDI

Funzionali, militari, outdoor: il design ‘anonimo’ nato per durare, scelto da Riccardo Blumer per raccontare la Svizzera. (©Martina Bonetti)
Un’icona elvetica: coltellino multiuso Victorinox, in ABS/Cellidor© e acciaio inossidabile. (©Martina Bonetti)
Metamorfico ed espressivo, il design italiano è rappresentato da una selezione a cura di Alessandro Pedretti. (©Martina Bonetti)

Studiare tutte le possibili varianti di un’idea formale, tra ossessione e sperimentazione, era prassi consolidata nel design italiano del boom economico. (©Martina Bonetti)
“Kuori” di Sarah Kim Harbarth è un materiale flessibile a base biologica e biodegradabile per suole, realizzato con prodotti di scarto organici come bucce di banana o gusci di noci (2021).

Testa e Croce è completata da due sezioni dedicate ai giovani designer svizzeri e italiani. Laura Gremion, designer diplomatasi presso ÉCAL (École cantonale d’art de Lausanne), sceglie quale focus il design di prodotto, che nell’ultimo decennio ha visto il coinvolgimento dei giovani professionisti in progetti filantropici orientati a contrastare il cambiamento climatico e a facilitare la vita attiva delle persone anziane. “La sostenibilità – scrive la curatrice – non è più una questione di scelta personale. Ogni progetto richiede un’analisi approfondita dei materiali e del processo produttivo per sviluppare soluzioni meno dannose possibili”. Rrreefs di Marie Giesmar mira a ricostruire le barriere coralline con un sistema di mattoni stampato in 3D; Benjamin Bichsel ha progettato Cima, una collezione di abbigliamento biodegradabile al 100% per il personale ospedaliero. La sedia “Lotte” di Sarah Hössli consente agli anziani di alzarsi in modo intuitivo e con maggiore facilità grazie ai braccioli estesi che girano tutt’intorno e fungono da corrimano. Erica Petrillo sceglie una frase di Chico Mendes, “L’ambientalismo senza politica è giardinaggio” come suggestione per la sezione della mostra dedicata al design italiano under 35, articolata in tre binari. “Nella progettazione per (o con) il non-umano, il design si mette al servizio di forme di intelligenza animale, vegetale, minerale, batterica, digitale che diventano interlocutori alla pari con cui le/i designer si confrontano per la realizzazione dei loro progetti. Nella categoria appendici i progetti mettono in discussione la staticità e l’inflessibilità del corpo umano rispetto agli ambienti circostanti: protesi, sensori, maschere, copricapi, unghie, capi d’abbigliamento come estensioni corporee che modificano (temporaneamente) il raggio d’azione dei movimenti e delle percezioni sensoriali. Gli ibridi sono una categoria-non categoria ampia che si applica a tutti i progetti che, attraverso la commistione di linguaggi visivi /materiali /disciplinari, utilizzano la creatività come strumento sovversivo: l’atteggiamento che sottende alle pratiche di ecologia politica di cui parlava Mendes”.

Cima (Circular Medical Apparel), del 2020, è una collezione di abiti per il personale ospedaliero prodotti con materiale 100% biodegradabile, di Benjamin Bichsel.
Future Flora (2016) di Giulia Tomasello con Arian Mirzrafie Ahi e Maja Zupano: indossare i probiotici per mantenere sano il corpo.
In Derma (2018), Erica Curci usa colture batteriche e sostanze di origine vegetale e proteica per produrre tessuti simili a quelli epidermici che assolvano il ruolo di seconda pelle.

A.F.